Legenda

A. Riferimenti: ad una voce di IG; a voci di SEG; ad altri repertori; link ad IG / PHI (se presenti) o ad altri database online;
B. Contributi documentali (strettamente epigrafici o archeologici);
C. Contributi al testo (filologici, linguistici, metrici, storici);
D. Contributi presenti in voci di catalogo o in monografie; articoli con trattazioni di più voci di CEG.
OS. Open Sources: database o strumenti di indagine accademica online.

 

A SEG 36.1557; 39.1779; 46.2285; 55.2007; 58.30; 58.1888; 60.1924; BE 2003.19; IG I 3 1194bis; PHI.
 
C Masson 1986, pp. 250-257; l’occasione di questo lavoro nasce da uno studio effettuato su una serie di antroponimi “curiosi” corrispondenti a soprannomi che derivano da nomi di animali. Nel corso dell’articolo esamina diversi esempi di questo tipo: nei primi due paragrafi (pp. 250-256) analizza le diverse occorrenze dei nomi di «ver» e «sauterelle», mentre nell’ultimo paragrafo (pp. 256-257) si dedica all’esame dell’antroponimo Τέττιχος, “Cicala”, attestato nel nostro epigramma. Dopo una breve rassegna dei lavori precedenti, ricorda che il termine è stato menzionato da Fick-Bechtel, Griech. Personennamen2 (Göttingen 1894) 318: «Τέττιξ; Gründer von Tainaros. Hierher Τέττιχος, (CIA 1, no. 463)», ma non nel lavoro del 1917. Ritiene che il nome Τέττιχος debba essere considerato un semplice derivato del primo, «pourvu d’une aspiree expressive», sullo stesso modello di Φύλακος derivato da φύλαξ o di Κόρακος derivato da κόραξ.
 
D

Day 1989, pp. 16-28; l’occasione di questo articolo nasce da uno studio dei rituali che scandivano la funzione funebre. Essi sono intesi come l’insieme di più momenti che costituivano, nel complesso, il rito funebre. A tal proposito si parla molto spesso, ancora oggi, di performance della pietra. Con questa espressione si intende tutta una serie di passaggi distinti che vanno dal momento in cui il committente affida l’incarico al poeta, al lapicida o alla bottega e che terminano (solo idealmente) nel momento in cui la pietra viene fissata nel terreno e si procede con la lettura (ad alta voce, perché metrica) dell’epigramma. Fra questi due momenti distinti vi è un mare per noi inesplorato, fatto di passaggi oscuri e ancora oggi oggetto di dibattito. Dobbiamo presumibilmente pensare ad un momento che sia al contempo privato ma anche pubblico, riconducibile sia alla sfera familiare che a quella cittadina. La performance, inoltre, dura ancora oltre il momento del rituale, per questo essa solo idealmente termina nel momento in cui la pietra viene fissata. In effetti essa si estende nei secoli finché la pietra resterà infissa nel terreno, grazie all’opera dei viandanti, ovvero dei destinatari “in seconda”. Il destinatario di questa performance è principalmente il defunto a cui essa è dedicata, ma poi, trasversalmente, il lettore-viandante a cui spesso si rivolge; per questo si può parlare di destinatario duplice.

L’articolo di Day, inoltre, cerca di spiegare cosa significassero gli epitafi arcaici in versi per i lettori contemporanei. È articolato in tre paragrafi, cui segue una conclusione generale e riassuntiva di tutti gli aspetti analizzati (pp. 27-28). Nella prima sezione (pp. 16-20) trovano spazio gli epitafi che si qualificano come encomi al defunto; o meglio testimonianza dello stato di ἀγαθός del commemorato; nella seconda sezione (pp. 20-22) si affrontano le problematiche del rapporto fra l’epitafio e il suo monumento; conclude una sezione sulle modalità rituali connesse all’epitafio (pp. 22-27). Alcune voci di CEG vengono citate perché utili paralleli in determinati discorsi, di altre invece si presenta il testo con traduzione inglese e un breve commento di contestualizzazione rispetto alla sezione in cui vengono riportati.

Segue una nostra tabella  dei riferimenti con le relative sezioni e pagine.

CEG Sezione Pagine
13 I pp. 17-19
14 III p. 25
18 I p. 20
24 III p. 26
27 I pp. 19-20
28 I p. 20
43 III p. 26
51 III pp. 26-27
53 III p. 25
117 III p. 25
136 III p. 26
139 III p. 25
143 III p. 24
146 I p.17
159 Conclusioni pp. 27-28

Day 1989 tratta CEG 13 alle pp. 17-19, dove pubblica la seguente traduzione del testo: <<Let each man, whether a citizen or foreigner coming from elsewhere, pass by only after pitying Tettichos, a good man, who perished in war and lost his fresh youthfulness. Once you have lamented this, move on to a good deed>>.

 
D Sourvinou-Inwood 1995; vedi CEG 10.
 
C Miller 1999, pp. 191-198; vedi CEG 152. A p. 197 traduce CEG 13: «Whether he is some townsman or an alien coming from somewhere else, let him pass by after he has taken pity on Tettichos, a courageous man, Who died in war, losing his young manhood; having lamented these things, go on to good things».
 
D Wachter 2001, nota. 844 p. 253. L’epigramma è citato come confronto per uno studio sul valore prosodico del suffisso -ιχος nei sostantivi maschili. A tal proposito cfr. anche CEG 93, 336, 630.
 
C Bruss 2005; vedi CEG 1. CEG 13 = Bruss 2005, p. 68, n. 39; p. 96 n. 31; p. 146, n. 17.
 
D

Elmer 2005, pp. 1-39; l’articolo esamina diversi luoghi dell’Iliade che presentano convergenze con il nostro epigramma; per una trattazione simile cfr. Onofrio Vox, Epigrammi in Omero, «Belfagor» 30, 1975, 67-70. Elmer parte dall’idea che «No Greek literary genre is more inextricably linked to the technology of writing than the epigram, which derives its defining characteristics from the exigencies of inscription». Lo studioso divide i passi dell’Iliade analizzati in due diverse categorie che chiama “epigrammi di Elena” e “epigrammi di Ettore”, ponendo a confronto i luoghi da lui attribuiti al primo o al secondo gruppo. Nella discussione trovano spazio diverse voci di CEG, alcune (105 e 429) con traduzione. Di seguito pubblichiamo una nostra tabella di concordanze. 

CEG Elmer
13 p. 14, n. 52
14 p. 15, n. 46
19 p. 15, n. 43
24 p. 8
26 p. 18, n. 57
34 p. 15, n. 46
40 p. 15, n. 43
42 p. 15, n. 46
43 p. 13, n. 38
50 p. 15, n. 46
51 p. 13, n. 38
52 p. 15, n. 46
105 p. 3, n. 7; p. 18
139 p. 17
145 p. 8; p. 1, n.1
150 p. 15-16, n. 47
167 p. 18, n. 58
193 p. 15, n. 43; p. 15, n. 46
195 p. 8, n. 23
198 p. 15, n. 46
209 p. 15, n. 46
211 p. 15, n. 46
326 p. 13, n. 38
396 p. 15, n. 46
418 p. 18, n. 57
419 p. 15, n. 46
429 p. 10
449 p. 20, n. 68
452 p. 20, n. 69
459 p. 15, n. 46

 

 
D Tsagalis 2008; vedi CEG 1. CEG 13 = Tsagalis 2008, p. 321.
 
B

Tueller 2010, pp. 42-60. L’articolo è contenuto all’interno del volume edito da Baumbach, Petrovic A. e Petrovic I., dedicato all’analisi di numerose caratteristiche degli epigrammi greci arcaici e classici. Il contributo di Tueller analizza molti epigrammi di VI e V secolo, soprattutto in riferimento all’analisi del rapporto con il passante. Fra gli epigrammi di CEG analizzati segnaliamo i nn. 13, 19, 27, 28, 108, 110, 117, 120, 131, 137, 146, 148, 150, 159, 162, 174b, 286, 429, 470, 487, 520, 597, 878.

 
 C

Lougovaya-Ast 2017, pp. 27-42. L’articolo presenta alcune osservazioni sull’uso dei segni di punteggiatura nelle iscrizioni. Fra gli esempi di CEG si sofferma su CEG 13, 14,16, 34, 434, 435, 454, (per cui vedi voci corrispondenti). A proposito di CEG 13 cfr. p. 32 (con traduzione in inglese). Nel corso del contributo, la studiosa sostiene spesso che nelle iscrizioni metrica la punteggiatura sembra essere evitata alla fine del verso, quando questo coincide con il termine della linea epigrafica (un’affermazione che era già in Threatte 1980, pp. 73-84 a proposito delle iscrizioni attiche). Come sostiene la studiosa alla fine del suo contributo (pp. 41-42), tuttavia, questa osservazione è valida solo per una parte delle epigrafi. In effetti, ciò che emerge dall’articolo è che per quanto concerne l’uso della punteggiatura nelle iscrizioni, non sembra essere particolarmente rilevante il dato metrico. In altre parole, che il testo sia o meno in versi non costituisce argomentazione valida a sostenere o meno l’uso della punteggiatura nel testo stesso. Ciò che sembrerebbe, invece, essere dirimente è la tipologia del testo. Consideriamo infatti le iscrizioni di CEG, gran parte di esse1 sono funerarie o dedicatorie e non presentano la punteggiatura se questa coincide con la fine della linea epigrafica. Viceversa, ciò non accade nei testi di natura giuridica. A tal proposito, la studiosa, riflettendo sull’uso di copiare il testo delle leggi soprattutto a scopo di diffusione, si chiede se la necessità di riprodurre il testo tramite copiatura possa spiegare la presenza dei segni di punteggiatura anche in fine di linea epigrafica.

1. Occorre prestare attenzione a questo tipo di osservazioni e tenere in considerazione il fatto che la tipologia dei testi superstiti può essere stata fortemente condizionata sia dalla natura archeologica dei ritrovamenti che dal reimpiego di alcuni materiali. In altre parole, un’iscrizione funeraria – se posta in situ o riutilizzata come riempimento – oppure dedicatoria – che difficilmente cade in disuso – ha più possibilità di sopravvivere di un testo metrico iscritto su piccolo vaso o suppellettile.