Legenda

A. Riferimenti: ad una voce di IG; a voci di SEG; ad altri repertori; link ad IG / PHI (se presenti) o ad altri database online;
B. Contributi documentali (strettamente epigrafici o archeologici);
C. Contributi al testo (filologici, linguistici, metrici, storici);
D. Contributi presenti in voci di catalogo o in monografie; articoli con trattazioni di più voci di CEG.
OS. Open Sources: database o strumenti di indagine accademica online.

 

A SEG 36.46; 58.30; 58.1888; IG I3 1197; PHI.
 
C Clairmont 1986, pp. 24-26; riferisce la scoperta di tre diverse trascrizioni dell’iscrizione. Due di esse emergono dalla corrispendenza privata di Fauvel, conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Della questione Clairmont aveva già riferito nel 1979 in «ZPE» 36, pp. 126-129.
La prima trascrizione di testo del nostro CEG è quella fornita da Fourmont. Inoltre, apprendiamo da Clairmont che Mustoxides inviò un testo a Boeckh per inserirlo nella raccolta di CIG. Sulla base di questa testimonianza, possiamo anche dedurre che all’inizio del XIX sec. la pietra era ancora murata e visibile ad Atene, presso la casa di un tale S. Patousa. Le circostanze della successiva perdita della pietra non sono chiare. La trascrizione della l. 1 di Boeckh Αρχενεος ⋮ τοδεστεσεν viene copiata ed accettata anche da Gell e arriva tramite Gell a Mustoxides. Il testo di Fourmont era per Boeckh mutilo e esistevano altre piccole differenze tra la copia di Boeckh e quella di Fourmont. Il testo di IG I³ 465, che Clairmont considera accettabile, è il seguente:
Άρχένεος ⋮ τόδε σ[ῆμα τοῦ | δεῖνος] ⋮ ἔστησ’ ένγὺς ὀ | δῷ, ἀγαθοῦ καἰ [σώφρονος ἀνδρός].
Fauvel in una lettera del 3 dicembre 1807 indirizzata ad un corrispondente il cui nome è andato perduto, trascrive il testo seguente (Bibl. Naz. Ms. 22871, p.26):

 

ΑΡΧΕΝΟΣΤΟΔΕΣtelen
:  ΕΣΤΕΣΕΝΓΥΘΟ
ΔΟΙΑΓΑΘΟΚΑΙE

Lo studioso, inoltre, aggiunge: <<en voici un autre seul example de boustrophedon athenien il ne manque rien au commencement des lignes>> [questo scorcio di testo di Fauvel è quello riprodotto da Clairmont, il quale aggiunge in nota 4, p. 24 che la grafia di Fauvel è veramente difficile da decifrare e che egli non utilizzava punti di interpunzione né accenti].

Tuttavia, in una seconda lettera scritta lo stesso giorno a A. Mongez (Bibl. Naz. Ms 22871, p. 193) Fauvel trascrive un altro testo:

ΑΡΧΕΝΟΣΤΟΔΕΣtelen
:  ΕΣΤΕΣΕΝΓΥΘΟ

ΔΟΙΑΓΑΘΟΚΑΙ 

Clairmont discute nel dettaglio le tre trascrizioni, senza tralasciare il problema della diversa resa di theta, di cui per alcuni anni si occupò lo stesso Fauvel. In conclusione propone un confronto fra le tre trascrizioni e le varianti di Fourmont, Gell e Mustoxides. 

 
C Bruss 2005; vedi CEG 1. CEG 16 = Bruss 2005 p. 38 n. 3; p. 40; p. 51 n. 64.
 
D Tsagalis 2008; vedi CEG 1. CEG 16 = Tsagalis 2008, p. 321.
 
Lougovaya-Ast 2017, pp. 27-42. L’articolo presenta alcune osservazioni sull’uso dei segni di punteggiatura nelle iscrizioni. Fra gli esempi di CEG si sofferma su CEG 13, 14, 16, 34, 434, 435, 454, (per cui vedi voci corrispondenti). A proposito di CEG 16 cfr. p. 35 (con traduzione in inglese). 

 

Nel corso del contributo, la studiosa sostiene spesso che nelle iscrizioni metrica la punteggiatura sembra essere evitata alla fine del verso, quando questo coincide con il termine della linea epigrafica (un’affermazione che era già in Threatte 1980, pp. 73-84 a proposito delle iscrizioni attiche). Come sostiene la studiosa alla fine del suo contributo (pp. 41-42), tuttavia, questa osservazione è valida solo per una parte delle epigrafi. In effetti, ciò che emerge dall’articolo è che per quanto concerne l’uso della punteggiatura nelle iscrizioni, non sembra essere particolarmente rilevante il dato metrico. In altre parole, che il testo sia o meno in versi non costituisce argomentazione valida a sostenere o meno l’uso della punteggiatura nel testo stesso. Ciò che sembrerebbe, invece, essere dirimente è la tipologia del testo. Consideriamo infatti le iscrizioni di CEG, gran parte di esse1 sono funerarie o dedicatorie e non presentano la punteggiatura se questa coincidere con la fine della linea epigrafica. Viceversa, ciò non accade nei testi di natura giuridica. A tal proposito, la studiosa, riflettendo sull’uso di copiare il testo delle leggi soprattutto a scopo di diffusione, si chiede se la necessità di riprodurre il testo tramite copiatura possa spiegare la presenza dei segni di punteggiatura anche in fine di linea epigrafica.

1. Occorre prestare attenzione a questo tipo di osservazioni e tenere in considerazione il fatto che la tipologia dei testi superstiti può essere stata fortemente condizionata sia dalla natura archeologica dei ritrovamenti che dal reimpiego di alcuni materiali. In altre parole, un’iscrizione funeraria – se posta in situ o riutilizzata come riempimento – oppure dedicatoria – che difficilmente cade in ‘disuso’ – ha più possibilità di sopravvivere di un testo metrico iscritto su piccolo vaso o suppellettile.