Legenda

A. Riferimenti: ad una voce di IG; a voci di SEG; ad altri repertori; link ad IG / PHI (se presenti) o ad altri database online;
B. Contributi documentali (strettamente epigrafici o archeologici);
C. Contributi al testo (filologici, linguistici, metrici, storici);
D. Contributi presenti in voci di catalogo o in monografie; articoli con trattazioni di più voci di CEG.
OS. Open Sources: database o strumenti di indagine accademica online.

 

A SEG 39.39; 39.1774: 40.39; 40.1650; 42.67; 44.1696; 46.2311; 47.96; 48.2212; 51.17; 52.538; 55.2007; 58.30; 58.1888; 58.1889; 59.22; 60.3; 60.62; 60.1924; 64.2130; 65.64; IG I3 1261; PHI; NAMA-Nr. 4989.
 
OS Polychromy Research Project. 
 

 

C

Svenbro 1988; la prima edizione di questo libro è del 1988, in francese. Successivamente uscirà una traduzione inglese nel 1993 a cura di Janet Lloyd. Nel 1991, per Laterza Bari, Laurenzi V. ha tradotto il volume di Svenbro in italiano in Storia della Lettura nella Grecia Antica.

Il libro di Svenbro è un tributo all’iscrizione di Phrasikleia e al suo monumento. Per alcune recensioni sul volume di Svenbro cfr. James J. O’Donnell, in Bryn Mawr Classical Review 94.02.03; Louise Bruit, in Annales. Économies, Sociétés, Civilisations. 45ᵉ année, N. 4, 1990. pp. 867-868; W. Rösler, «Gnomon» 64, 1992, pp.1-3. Di seguito riportiamo il lemma di SEG 40.39. Svenbro ribadisce ciò che viene annunciato nella prefazione di G. Nagy (pag. XI): la lettura del “Phrasikleia’s sema” promette di diventare un classico della storia della semiotica. Svenbro insiste sull’etimologia del nome legata alla storia della famiglia. Rifiuta qualsiasi connessione tra κόρε l. 2 e Κόρη: «unlike Kore, Phrasikleia remains a koúrē ‘forever’ (aieí), whereas Kore became the wife of Hades and, as such, acquired a different name — Persephone […]. The sema of Phrasikleia, which designates itself in the first person, shifts imperceptibly from the neuter to the feminine gender … thereby anticipating its own ‘return to life’ through the act of reading».

Di seguito aggiungiamo un elenco dei contenuti del volume del 1988: Introduzione (pp. 5-12); 1. Phrasikleia, Du silence au son (pp. 13-32); 2. J’écris, don je m’efface, L’énonciation dans les premières inscriptions grecques (pp. 33-52); 3. Le lecteur et la voix lectrice. Statut instrumental de la lecture à haute voix (pp. 53-73); 4. L’enfant signifiant, l’”inscription” du nom proper (pp. 74-91); 5. La fille du scripteur, Kallirhoè et les trente prétendants (pp. 92-122); 6. Nòmos, “exégèse”, lecture, la voix lectrice et la loi (pp. 123-136); 7. La vrai métempsycose. Lycurgue, Numa et le cadavre tatoué d’Épiménide (pp. 137-160); 8. La mort par l’écriture, Sappho, le poéme, le lecteur (pp. 161-177); 9. La voix intérieure, Sur l’invention de la lecture silencieuse (pp.178-206); 10. Le lecteur et l’éromène, Paradigme pédérastique de l’écriture (pp.207-238); Indici generali (pp. 239 ss.).

 
D Day 1989, pp. 16-28; vedi CEG 13. Traduzione a p. 26: «(I am or this is the) marker of Phrasikleia. I shall always be called a maiden, having received this name instead of marriage as my lot from the gods».
 
C

Häusle 1989, pp. 19-21; sostiene l’interpretazione già avanzata da Kontoleon, secondo la quale la statua deve essere intesa come omaggio per  Κόρη (Persefone), con la quale viene identificata la giovane defunta celebrata, Phrasikleia.

 
C Skiadas 1989, pp. 188-193; cita numerosi paralleli su pietra e nella letteratura della nostra iscrizione. Rifiuta sia l’interpretazione di E. Griessmair (Commentationes Aenipontanae 17 [Innsbruck 1966] 63-64) secondo il quale κόρη in l. 1 sia un Ehrentitel che quella di N. Kontoleon (Aspects de la Grèce préclassique [Paris 1970] 53, 90) secondo il quale Phrasikleia prese l’epiteto Κόρη da Persefone.
 
C  Ecker 1990; vedi CEG 2.
 
C Hansen 1990, p. 302-303; l’occasione di questo breve scritto è data dalla necessità di recensire l’articolo di Häusle 1989 verso il quale Hansen manifesta non poche obiezioni. La prima perplessità riguarda l’identificazione di Κόρη con la defunta Phrasikleia menzionata nell’epitafio. Hansen sostiene che l’interpretazione proposta da Häusle sia difficile da accettare data la valenza del sostantivo κόρη riferito alla condizione della fanciulla al momento della sua morte prematura. Hansen ritiene inoltre che la lettura pià corretta sia stata offerta a tal proposito da Day 1989, pp. 16-28.
 
D Immerwahr 1990; discute diverse iscrizioni dall’Attica, tra cui CEG 24 (= p. 77 no. 460).
 
D Nicosia 1992, no. 8; vedi CEG 6.
 
C Lohmann 1992, pp. 106-109; difende l’interpretazione di κόρη inteso come “fanciulla” e rigetta l’ipotesi di Häusle.
 
D

Spina 1993, pp. 163-178; nell’ambito di un convegno sul rapporto fra la realtà e l’artificio, propone un’analisi di quelle che definisce “Autobiografie Impossibili”, con considerazioni sui rapporti tra le iscrizioni funerarie greche e il genere autobiografico. Riflettendo sul paradosso fra “oralità dei morti” e la “scrittura dei vivi”, ovvero fra realtà dell’uno e menzogna dell’altro, ritiene gli epigrammi autobiografici, (fra i quali intende quelli che si esprimono in prima persona) delle «menzogne costruite dai parenti del defunto». Definisce l’epigrafe autobiografica come una vera e propria scelta possibile di narrazione della morte. In nota (p. 167 n. 14) avverte della necessità di «ovvia cautela con cui bisogna usare tale terminologia per i testi che stiamo esaminando». Il paradosso più evidente è rappresentato dal «soggetto enunciante evidentemente improponibile che trasmette contenuti informativi del tutto plausibili», anche se ammette che «improponibilità è un termine forse eccessivamente critico». L’analisi di tale rapporto complicato parte dall’epica, che consente di individuare la plausibilità di una comunicazione fra i vivi e i morti, poiché le celebrazioni in onore dei defunti, avevano creato le basi oggettive per lo sviluppo di una narrazione di tipo biografico. Per questo, sempre con maggiore frequenza «dal IV secolo in poi, la scelta dell’ego narrante» diviene una caratteristica significativa delle iscrizioni letterarie. In particolar modo trova estremamente interessante il rapporto che viene a crearsi tra gli elementi strutturali dell’epigrafia funeraria (nome del defunto, paternità, etnico, mestiere, eventuali cause della morte o altre espansioni informative e la situazione di «enunciazione in cui l’ego coincide con il defunto». Nell’ambito di questo complesso intreccio si verificano variazioni di soggetto grammaticale, con conseguenze a livello linguistico e sintattico. Nel caso di CEG 24, l’identità del defunto è rivelata solo alla fine, dopo la variazione del soggetto grammaticale. Il testo di questo epigramma è a p. 175. Gli altri epigrammi citati sono: CEG 87, 492, 572, 493, 545, per il passaggio da terza a prima persona;  590, per l’espressione della prima persona alla fine del componimento. Cfr. lemmi relativi per le pagine corrispondenti. In nota (p. 169 n. 21) cita Gallavotti, Appunti di filologia epigrafica, «QUCC» 31, 1979, pp. 143-150; che resta un insostituibile contributo sui passaggi di persona nelle epigrafi qui citate.

Per quanto riguarda la «temporalità» delle epigrafi aggiunge che essa oscilla tra il presente del giacere, presente rinnovato dalla lettura come condizione ormai irreversibile, e il passato articolato della propria vita. Torna a tal proposito a parlare di Phrasiklea; ma cita anche GVI 647, 807, 943 e 1158. In conclusione ammette che il materiale analizzato fornisce solo una piccola campionatura, poiché gli indici di Peek assicurano un florido repertorio da analizzare. Le autobiografie epigrafiche conservano materiale prezioso sia dal punto di vista contenutistico che formale. Da questo campionario esclude un tipo di autobiografia, che egli definisce «doppiamente impossibile», quella del suicida, giacchè difficilmente potremmo leggere l’epigrafe di qualcuno che si è tolto la vita da solo. Sulla questione dell’io sulla pietra molto si è detto e i dibattiti sono tutt’ora in corso. Un contributo da ricordare, come annunciato in precedenza, soprattutto perché ridefinisce la questione è quello di Cassio 1994, pp. 106-107.

 
C

Guccione 1994, pp. 145-156; questo contributo presenta una recensione critica ma equilibrata del volume di U. Ecker 1990 (cfr. CEG 2). Guccione ricorda la tripartizione del volume in 1. Il defunto e il suo nome; 2. Il monumento sepolcrale come sema; 3. Il monumento sepolcrale come mnema. Le ultime due parti sono a loro volta articolate in paragrafi secondo i contenuti delle epigrafi esaminate (vedi CEG 2). Secondo la studiosa non tutti gli epigrammi funebri arcaici presentati nel volume di Ecker sono analizzati nel dettaglio: il libro infatti presenta solo 20 iscrizioni circa, scelte perché le più rappresentative tra le diverse sezioni. [Alcune questioni sono affrontate da Ecker anche in nota, dove si citano inoltre altri componimenti metrici e prosastici, nda].

Per quanto riguarda la sezione dedicata al sema emerge l’idea – già omerica – del monumento come «espressione di apprezzamento dei vivi nei confronti del defunto e soprattutto come “portatore e garante del kleos”, in quanto quest’ultimo ne garantisce la sopravvivenza» (Ecker 1990 p. 34). Il monumento funebre è un punto di riferimento per i vivi, per questo spesso sono collocati in punti visibili e importanti: Ecker parla di dimensione ottica della gloria (p. 36). La sezione dedicata agli epitafi si apre con una serie di riflessioni preliminari a partire dal più semplice degli epitafi: la Namensinschrift. Essa mostra che colui che porta quel nome è defunto e sepolto nel punto indicato dal monumento, determinando «l’unità funzionale tra tomba ed iscrizione del nome, che si spiega da una parte con la funzione già menzionata del monumento funebre come sema, dall’altra con la proprietà che il nome di un uomo ha in quanto portatore di una personalità» (p. 46). A proposito della monumentalizzazione della presentazione ottica del testo, in rapporto alla conservazione della fama, e della lettura ad alta voce, Guccione avrebbe preferito una bibliografia più ampia e pertinente. Avverte inoltre che la scelta degli argomenti narrati nuoce alla trattazione unitaria, dove a subirne le conseguenze più dirette è l’approfondimento del rapporto tra sema e mnema. Ecker passa in rassegna tutte le caratteristiche peculiari del “genere letterario” dell’epigramma funebre: circostanze della morte, menzione del dedicante, del suo dolore, del rimpianto, firma dell’artista, collocazione presso la via, appello al passante. Si tratta di elementi ricorrenti, che ben evidenziano il carattere pubblico dell’epitafio, necessario alla conservazione del kleos.

A proposito di CEG 24, Guccione aggiunge che la Namensinschrift al nominativo è la forma in assoluto più antica dell’iscrizione sepolcrale (p. 152; citando Ecker p. 176); per questo è pertinente il confronto con alcuni epitafi in cui i «confini fra io della statua ed io del defunto sono assolutamente incerti» (E. p. 202). Segue il testo di CEG 24. Più avanti (pp. 152-153), Guccione confronta sintatticamente CEG 24, 159 e 142. Nelle prime due iscrizioni menzionate, infatti, la presentazione del monumento (tomba di + genitivo) è nettamente distinta dalle parole pronunciate dal defunto, mentre nel caso di CEG 142, la struttura è quella di un epigramma narrativo in terza persona. Nel caso di Phrasikleia, molto peculiare è l’uso del passivo di καλέω, κεκλήσεται, usato in poesia come sinonimo di εἶναι (in nota, p. 152 n. 20 cita una serie di loci similes), soprattutto con parole che indicano rapporti di parentela o condizione sociale. Nella nostra epigrafe κεκλήσεται è legato alla collocazione della tomba “lungo la strada”.

Per le trattazioni specifiche degli altri epigrammi raccolti in CEG da parte di Guccione, vedi CEG 18, 46, 51, 137, 139, 142, 159, 167, 470.

 
C

Stieber 1996, pp. 69-99; ristampa il testo dell’epigramma con traduzione, analisi dettagliata dello stile e iconografia della statua. In conclusione, in merito alla discussione sulla valenza di κόρη, Stieber sostiene che «the fact that the statue is part of a sema, the fact that she died a kore, either unmarried or recently married, the fact that she was an aristocratic girl whose reputation will be forever exemplary (κεκλήσομαι αἰεί), can all be read from the statue … the epigram really adds only one piece of crucial evidence about the subject of this funerary portrait: her name».

 
D Stehle 1997; vedi CEG 19.
 
C Bruss 2005; vedi CEG 1. CEG 24 = Bruss 2005, p. 42 n. 27.
 
D Elmer 2005, pp. 1-39; vedi CEG 13.
 
D Tsagalis 2008; vedi CEG 1. CEG 24 = Tsagalis 2008, p. 280, 321
 
D

Tueller 2008; vedi CEG 11.

 
B
Vestreheim 2010, pp. 61-78, vedi CEG 4.
 
B

Rosenberg-Dimitracopoulou 2015, pp. 85-99; il contributo mira a riesaminare il monumento che reca l’iscrizione. La studiosa sostiene la possibilità di associare la statua al contesto della distruzione persiana dell’Attica e torna a discutere sul deterioramento del supporto, che attribuisce all’azione naturale del tempo, piuttosto che a fattori umani.